venerdì 20 marzo 2009

Occupazioni, il caos

Il Brasile è scosso da un capo all’altro dalle occupazioni di immobili rurali e urbani.



«Scossi da un capo all’altro 8 milioni e mezzo di chilometri quadrati? Non vi è esagerazione in questa affermazione, quando le aree occupate costituiscono soltanto minuscole porzioni all’interno di questa totalità?». Questo si chiederanno molti lettori.
Rispondo. Il potere di distruzione di un atto contrario alla legge di Dio e a quella degli uomini si misura molto meno dal numero delle vittime che dalla rilevanza del precetto trasgredito.
E dalla gravità della lesione. Ora, nel caso concreto delle occupazioni viene leso uno dei diritti naturali basilari dell’uomo, quello di proprietà.
Esso deriva dallo stesso ordine naturale delle cose. Ed è definito nei comandamenti della legge di Dio. Per di più, lo garantiscono le leggi temporali vigenti.
Affermandolo, ho davanti il fatto concreto che di queste o di quelle terre, o terreni, stanno venendo spogliati i legittimi proprietari. Tuttavia, tali fatti non hanno soltanto una portata personale locale. Ma la lesione del diritto di proprietà viene portata molto, molto più avanti dalle occupazioni.
In modo più o meno esplicito, quanto in esse è affermato è che la proprietà privata non esiste più.
Ossia, che chiunque ha il diritto di proclamarsi bisognoso, secondo un criterio assolutamente soggettivo e arbitrario. E che, a partire da questo, può liberamente mettere mano su quanto è degli altri.
Soltanto per argomentare, accetto in questa occasione, senza le sfumature né le indispensabili indicazioni di circostanza, il principio secondo cui, quando qualcuno è bisognoso del necessario, e non ha nessuna soluzione a portata di mano, può appropriarsi di quanto è altrui.
Ugualmente soltanto per argomentare, registro l’ipotesi, evidentemente contrastante con la realtà, che in questo paese con circa il 60 per cento di terre incolte, e appartenenti al potere pubblico, l’unico mezzo per un brasiliano di trovare spazio di abitazione o di lavoro consiste nel piantarsi sulla terra degli altri, invece di fare quanto si è fatto da quando il mondo è mondo.
Cioè, le braccia che eccedono vanno a sfruttare le terre che pure eccedono.
Povero Brasile, se il Portogallo non avesse fatto così! Se l’eccesso di braccia del Portogallo dal secolo XVI al secolo XX, invece di emigrare verso l’America, l’Africa e l’Asia, fosse rimasto nel proprio paese, a dividere e a suddividere all’infinito mini-fondi, tutto il Portogallo sarebbe oggi una immensa e miserabile favela!
Ribatto a chi mi obietta che le terre demaniali non servono al lavoratore urbano oppure rurale che abita lontano da esse: se egli è scontento della megalopoli nella quale lavora troppo e guadagna meno, e se il salario del lavoratore rurale gli sembra insufficiente, ha il diritto di richiedere al potere pubblico trasporto, finanziamento iniziale, strumenti di lavoro e terra, nella quale vivere di quanto produce con le proprie mani. Se con questo ne patiranno le industrie, peggio per il padrone poco sveglio. L’esodo dei bisognosi sarebbe il più colossale degli scioperi...
È vero che, per realizzare una tale soluzione, sarebbe necessario montare tutto un sistema di sfruttamento di terre, molto incompletamente in vigore.
In realtà, il tema avrebbe dovuto avere il posto principale nei dibattiti dei partiti politici, negli organi di comunicazione sociale.

Ma non è stato quanto è accaduto. Se si fosse fatto in favore di un vasto popolamento dell’hinterland brasiliano da parte dei lavoratori rurali e urbani bisognosi tutto quanto si è fatto per discutere la questione, per altro importante, della liberazione di criminali politici, e del ritorno degli esiliati, l’attuale crisi sarebbe ben più blanda, e sarebbe in via di soluzione.
D’altronde, si sa che vi è miseria nelle favela. Ma si sa anche che non ogni abitante delle favela è un indigente: al contrario, diversi tra loro posseggono radio, televisione, frigorifero, e succede che, talora, abbiano anche l’automobile.
In che misura il semplice fatto che qualcuno abiti nelle favela prova che è bisognoso, e che ha diritto di insediarsi nell’immobile dell’altro? La problematica potrebbe estendersi a perdita d’occhio, oltre lo spazio di questo articolo.
Un punto è certo. Il fatto che da questo stato di bisogno non si può dedurre, nel caso concreto, la norma secondo cui qualsiasi persona può essere giudice della propria causa, proclamandosi bisognoso e installandosi nella proprietà altrui.
Se ammettessimo questa norma, giungeremmo direttamente all’assurdo.
Infatti, perché il bisognoso ha diritto soltanto alla terra o al terreno? In virtù dello stesso «diritto» non potrebbe strappare il gioiello alla signora che passa per la strada per venderlo, strappare il portafoglio al marito che la accompagna, «occupare» l’automobile che hanno lasciata accostata al marciapiede, entrare in un qualsiasi negozio e «occuparne» la mercanzia, per consumarla oppure, ancora una volta, per venderla? Perché soltanto in materia di immobili l’ occupazione assume toni di prodezza, e in materia di ricchezze di altro genere l’ occupazione è... «occupazione» ?
In questa prospettiva, perché arrestare un ladruncolo? Non può anche lui sostenere di essere un bisognoso?
Su questa strada il lettore vede chiaramente verso quale caos, verso quale pandemonio sta essendo portato il Brasile. Portato da chi?
Provo simpatia con tutta l’anima per i bisognosi autentici. So che in nessun modo possono essere equiparati, da un moralista, ai ladruncoli e simili. Ho compassione della loro situazione. E peroro a loro favore una vasta distribuzione di terre, a spese del maggior latifondista del Brasile, che è il potere pubblico, l’Unione, gli Stati, i municipi.
Semplicemente non mi trova d’accordo che la loro situazione sia risolta attravérso l’ applicazione di un principio falso che porterebbe il Brasile e loro nel pandemonio e nel caos.
Gettare il Brasile nel caos può soltanto pregiudicare la soluzione che propongo, che, al contrario, richiede ordine.
Chi incolpo, allora, se non lo faccio con gli occupanti?
La grande responsabile del fatto è la sinistra detta cattolica, pilotata, nel caso concreto, da quello di cui è, da circa quarant’anni, la grande, facile e costante compagna di strada.
Di questo sono testimone. La mia lotta contro l’ infiltrazione sinistrorsa nella Chiesa è cominciata nel 1943, quando, nella veste di presidente della giunta arcidiocesana dell’ Azione Cattolica, ho pubblicato il libro “In difesa dell’Azione Cattolica ”(l).
Lo avevo scritto espressamente per mettere in guardia gli ambienti religiosi del Brasile contro il male che cominciava a svilupparsi.
Da allora a oggi, la mia azione pubblica è consistita in un lungo aprire gli occhi di tutti di fronte al pericolo. Libri di enorme tiratura sono stati letti con interesse.
Ma si «lascia stare tutto, per vedere come va a finire».
E il risultato è questo. Lai sinistra detta cattolica sta guidando le occupazioni, seguita da quella formichina velenosa che è il Partito Comunista del Brasile.

(Plinio Corrêa de Oliveira, Articolo comparso sul La Folha de S. Paulo del 15-9-1981. Tratto da Cristianità 9 – N. 80 dicembre 1981)


Note

(1) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Em defesa de Acao Catòlica, Editora “Ave Maria”, San Paolo 1943

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