giovedì 21 gennaio 2010

Sant'Agnese


Sant’Ambrogio nel suo libro sulle Vergini, alla lode di sant'Agnese (l. I, cap. 2, PL 16, c. 189-191).

"Dovendo scrivere un libro sulla Verginità - dice il grande vescovo - mi ritengo onorato di poterlo aprire con l'elogio della vergine la cui solennità ci riunisce. È oggi la festa d'una Vergine: cerchiamo la purezza. È oggi la festa d'una Martire: immoliamo vittime. È oggi la festa di sant'Agnese: si sentano pieni d'ammirazione gli uomini, non si perdano d'animo i fanciulli, guardino con stupore le spose e le vergini cerchino di imitare. Ma come potremo parlare degnamente di colei della quale il nome stesso racchiude l'elogio? Il suo zelo è stato superiore all'età e la sua virtù superiore alla natura, di modo che il suo nome non sembra un nome umano, ma piuttosto un oracolo che presagiva il suo martirio". Il santo Dottore fa qui allusione alla parola agnello, da cui si può far derivare il nome di Agnese. Lo considera quindi come formato dal termine greco agnos, che significa puro, e continua così il suo discorso: "Il nome di questa Vergine è anche un titolo di purezza: devo dunque celebrarla come Martire e come Vergine. È una lode abbondante, né si ha bisogno di cercarla: esiste già di per sé. Si ritiri il retore, e ammutolisca l'eloquenza; una sola parola, il suo solo nome loda Agnese. La cantino dunque i vecchi, i giovani e i bambini. Celebrino tutti gli uomini questa Martire; poiché non possono pronunciare il suo nome senza lodarla.
Si narra che aveva tredici anni quando subì il martirio. Orribile crudeltà del tiranno, che non risparmia un'età così tenera; ma, più ancora, meraviglioso potere della fede, che trova testimoni di quell'età! C'era posto in un corpo così piccolo per le ferite? La spada trovava appena su quella fanciulla un luogo dove colpire; eppure Agnese aveva in sé il modo di vincere la spada. A quell'età la giovanetta trema allo sguardo adirato della madre; una puntura d'ago le strappa le lacrime, come se fosse una ferita. Intrepida fra le mani sanguinose dei carnefici, Agnese rimane immobile sotto le pesanti catene che la opprimono; ignara ancora della morte, ma pronta a morire, presenta tutto il corpo alla punta della spada d'un soldato furente. Viene trascinata, suo malgrado, agli altari: essa stende le braccia a Cristo attraverso i fuochi del sacrificio, e la sua mano forma, fin sulle mani sacrileghe, quel segno che è trofeo del Signore vittorioso. Passa il collo e le mani attraverso i ferri che le vengono presentati; ma non se ne trovano che possano stringere membra così esili. Nuovo genere di martirio! La Vergine non ha ancora l'età del supplizio, ed è già matura per la vittoria; non è ancora matura per il combattimento, ed è già capace della corona; aveva contro di sé il pregiudizio dell'età, ed è già maestra in fatto di virtù. La sposa non va verso il letto nuziale con la stessa premura di questa Vergine che avanza piena di gioia, con passo veloce, verso il luogo del supplizio, ornata non d'una capigliatura acconciata a regola d'arte, ma di Cristo; incoronata non di fiori, ma di purezza. Tutti piangevano; essa sola non piange. Ci si meraviglia che offra così facilmente la vita che ancora non ha gustata e che la sacrifichi come se già l'avesse esaurita. Tutti stupiscono che sia già il testimone della divinità, ad un'età in cui non potrebbe ancora disporre di se stessa. Le sue parole non avrebbero valore nella causa d'un mortale, ma sono credute oggi nella testimonianza che rende a Dio. Infatti, una forza che è al di sopra della natura non può derivare che dall'autore della stessa natura. Quali terrori non mise in atto il giudice per intimidirla! e quante carezze per conquistarla! Quanti uomini la chiesero in isposa! Essa esclama: L'amata fa ingiuria allo sposo, se si fa aspettare! Mi avrà soltanto colui che per primo mi ha scelta. Perché tardi, o carnefice? Perisca questo corpo che può essere amato da occhi che io non gradisco. Si offre, prega, e china il capo. Avreste potuto vedere il carnefice tremare come se egli stesso fosse stato condannato, la sua mano esitante, il suo volto pallido come per un estraneo pericolo, mentre la giovinetta contemplava, senza alcun timore, il proprio pericolo. Ecco dunque, in una sola vittima, un duplice martirio: uno di castità, l'altro di religione. Agnese rimase vergine, ed ottenne il martirio". (Dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959)

Il commento di Sant’Ambrogio su Sant’Agnese (293-305) ha un valore letterario che è insieme profondo è molto bello, perché è composto di contrasti. Attraverso l’uso sapiente di questi contrasti Sant’Ambrogio arriva ai punti che vuole sottolineare. In primo luogo c’è il contrasto fra l’età di Sant’Agnese e il martirio. È troppo giovane per essere condannata a morte: a dodici anni nessuno merita una tale punizione. E tuttavia è già pronta per la vittoria. Una persona che non è matura quanto agli anni lo è tuttavia dal punto di vista della vittoria. È la sua gloria. L’immaturità degli anni e la maturità della virtù.

C’è un secondo contrasto: non è pronta per la battaglia, eppure è pronta per la corona. Una ragazzina di quell’età non è in condizioni di combattere, eppure vince il più grande di tutti i premi: la corona del martirio. Terzo contrasto: è così giovane che è ancora affidata alle cure di un tutore. Il diritto romano non la considera capace di autogestirsi. Tutti i presenti la ammirano perché è una testimone di Dio, anche se è una minorenne che non potrebbe essere testimone di nulla in un tribunale. In un processo la sua parola non avrebbe valore. Ma la sua difesa di Dio ha un valore che impressiona chiunque la ascolta. Inoltre vi è il contrasto che si può vedere nella scena finale del martirio. Avanza con gioia e il suo passo è senza esitazioni mentre si dirige verso l’esito da cui tutti naturalmente fuggono.

Ancora un contrasto: il suo ornamento non sta tanto nella perfezione delle trecce messe a posto con ore di artifici ma piuttosto in Gesù Cristo. Gesù è il vero ornamento, la vera bellezza dell’anima che gli si è consacrata. Di più: non è coronata di ghirlande di fiori come le altre ragazze romane dell’epoca, ma di purezza. Questa purezza splende, e già circonda il suo capo di una sorta di aureola. Ci sarebbero ancora altri contrasti. Tutti piangono vedendo che una ragazzina sta per essere uccisa. Ma Agnese non piange. È un contrasto glorioso: ha sete di Paradiso, non di questa Terra. Tutti si stupiscono nel vedere che è pronta a rinunciare a una vita che è appena cominciata. Agnese sacrifica la vita come se l’avesse già a lunga vissuta e goduta in pienezza. Ma qual è la ragione per tutti questi contrasti? Sant’Ambrogio vuole sottolineare che nel suo martirio c’è qualcosa di inusuale. Sarebbe naturale per Agnese fare il contrario di quello che sta facendo. La forza con cui agisce va al di là della natura. Può venire solo dallo stesso Autore della natura. Dove c’è qualcosa che trascende la natura, lì c’è Colui che della natura è autore. Dio si rivela nella santità di Agnese e nel miracolo della sua morte. Agnese avanza e china il capo. Vede il boia tremare come se fosse lui il condannato. Ma lei – la vera condannata – è calma e coraggiosa. La mano del boia trema, il suo volto è pallido. Teme per un’altra persona, mentre la ragazza non trema per il suo pericolo. Il boia ha quasi paura di usare gli attrezzi del suo mestiere. Ma Agnese non ha paura del boia. In una sola vittima, afferma Sant’Ambrogio, c’è un doppio martirio, della castità e della religione. Sant’Agnese, vergine e martire. Così recita il magnifico commento di Sant’Ambrogio su Sant’Agnese.

(Plinio Corrêa de Oliveira)

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