sabato 1 maggio 2010

San Giuseppe

L’ignoranza religiosa in cui viviamo, ha prodotto – tra altri effetti nocivi – quello di sfigurare interamente il significato reale di alcune indicazioni della Chiesa che, quando sono male interpretate, divengono completamente sterili di frutti spirituali – mentre, se fossero bene intese, sarebbero fertili in grazie e produrrebbero frutti di tutti i generi.




San Giuseppe in arte messicana

È quello che è successo, per esempio, in relazione alla festa di San Giuseppe, attraverso la quale la Chiesa propone il santo come modello agli operai e ai capi di famiglia e anche, per l’immenso complesso di virtù con cui la grazia arricchì quest’uomo, come modello ideale di tutte le grandi virtù cattoliche. La maggioranza dei cattolici, tuttavia, non pensa seriamente di prendere San Giuseppe come suo modello. Da una parte, la straordinaria santità del padre putativo di Gesù sembra un ideale assolutamente inattingibile. Dall’altra, la debolezza umana di cui ci sentiamo pieni, sollecitata da ogni genere di tendenze, finisce per allontanarci da ogni elevato ideale spirituale. Pensiamo di avere già fatto molto se ci teniamo lontani dal peccato mortale e veniale e viviamo una vita spirituale stazionaria, relativamente pacifica, perché si limita a conservare il territorio già conquistato, ma è interamente sterile quando si tratta di avanzare per la Chiesa e per la maggior gloria di Dio.

La Chiesa certamente non pretende che i suoi figli eguaglino in gloria e in virtù colui che, dopo Maria Santissima, fu l’esponente più elevato delle virtù dell’umanità. Ma d’altra parte la Chiesa non vuole in nessun modo che limitiamo i nostri orizzonti spirituali a una vita di pietà banale, resa meschina dall’erronea illusione che sarebbe una mancanza di umiltà aspirare a quella santità che brillò nel genio di San Tommaso, nella fortezza di Sant’Ignazio, nel raccoglimento di Santa Teresa o nella carità di San Francesco. Quindi, la Chiesa smaschera questa falsa umiltà, mostrando come si tratti o di un pretesto capzioso per la codardia spirituale o di una concezione orgogliosa della virtù, considerata come frutto più dello sforzo umano che della misericordia di Dio. Nello stesso tempo la Chiesa si serve dell’esempio dei suoi grandi santi per “condurre in alto” i nostri cuori, indicandoci che l’unica preoccupazione reale in questa vita, l’unico problema veramente importante della nostra esistenza è l’acquisizione di quella perfezione spirituale, l’unico patrimonio che conserveremo – nonostante le crisi finanziarie, i rivolgimenti sociali e la fragilità delle cose umane – e che potremo infine portare con noi nel riposo eterno.

Vita interiore intensa, costante, ambiziosa oltre ogni limite ma nel senso spirituale della parola: ecco la grande lezione che la festa di San Giuseppe ci lascia. La grandezza della lezione non deve scoraggiare le nostre scarse forze. Al contrario dobbiamo farci coraggio esclamando “Omnia possum in Eo qui me confortat” – “Posso tutto in Colui che mi conforta” (Fil 4, 13).

(Plinio Corrêa de Oliveira)

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