martedì 13 luglio 2010

Sant’Enrico II imperatore

Guerriero, diplomatico e uomo politico.


Siamo nel Medioevo, all’inizio del secolo XI. Come sappiamo, il Medioevo inizia con la caduta dell’Impero romano d’Occidente, invaso da incalcolabili orde di barbari. Questi barbari si stabiliscono all’interno del territorio imperiale e alla fine assoggettano i romani al loro potere. Gradualmente, anche la popolazione romana cade nella barbarie. Le strade sono abbandonate e nessuno se ne cura; gli acquedotti che forniscono l’acqua alle città cessano di funzionare e nessuno li ripara; i palazzi occupati dai barbari diventano sporchi e disordinati; le opere d’arte presenti nei luoghi pubblici cadono in rovina e le città precipitano nel caos. Tutto quanto rappresenta la cultura e la civiltà è distrutto in un modo miserando. In questa situazione l’Europa diventa analfabeta e il livello dei suoi costumi decade a livelli così bassi che difficilmente li possiamo immaginare. Ci vorranno secoli per riportare l’Europa a una situazione di civiltà.


Mentre tutto è distrutto, la Chiesa Cattolica resta in piedi come l’unica istituzione che funziona. I barbari cominciano a convertirsi sotto la sua influenza. Il lavoro che la Chiesa compie con questi popoli europei non è così diverso da quello che svolgerà un giorno per convertire i nativi nelle Americhe. I missionari arriveranno, predicheranno il Vangelo e attraverso le successive generazioni i nativi saranno civilizzati e acquisiranno una cultura cristiana. La stessa cosa avviene con le tribù barbariche in Europa. Nell’anno 1000 la civiltà ha già raggiunto un certo livello, se la si paragona al modo di vivere originario dei barbari. Ma la civiltà cattolica è invece molto indietro rispetto al livello che raggiungerà duecento o trecento anni più tardi. Al tempo di sant’Enrico II (973-1024) si vive dunque in una situazione di semi-barbarie. Alcuni popoli sono più civilizzati di altri. In Europa ci sono isole di una civiltà cristiana incipiente in un mare di popoli barbari che continuano a vivere da nomadi e ad attaccare i regni che si sono formati. La vita cattolica è molto difficile, con avversari che arrivano da tutte le direzioni.

Una delle prime conversioni è quella dei popoli germanici, che occupano un vasto territorio comprensivo delle attuali Germania, Austria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Svizzera. Questi popoli diventano civili e costituiscono un’entità politica che sarà chiamata Sacro Romano Impero Germanico. Impero, perché comprende diversi popoli uniti in una sorta di federazione. Questi popoli liberi accettano di essere guidati – non ancora “governati” – da un unico sovrano, eletto dai capi delle varie popolazioni. Nasce quindi una sorta di lega che comprende un vasto territorio e popoli diversi: un impero. È chiamato romano perché il modello è il vecchio Impero Romano; e germanico, perché è stato fondato da popolazioni germaniche. È anche chiamato santo, perché si assume come scopo principale la difesa della Chiesa Cattolica contro le aggressioni dei pagani.


Nella persona di sant’Enrico II vediamo un imperatore che è anche un santo. Che un capo politico e il leader di un grande esercito sia un santo apparirà poco convincente a chi è abituato a certe vite dei santi prodotte da una pietà sentimentale. Davvero Enrico occupa la posizione più elevata nella più importante organizzazione politica del tempo. È dunque l’uomo più potente d’Europa. Nello stesso tempo è il più grande guerriero d’Europa, e il primo figlio della Chiesa. Si può dire che sia il figlio della Chiesa per eccellenza. Considera come sua principale funzione proteggere la Chiesa dagli attacchi dei suoi nemici.


Sant’Enrico e sua moglie, santa Cunegonda

Deve combattere le orde che arrivano da Oriente e che continuamente attaccano l’Impero. Raduna un grande esercito per rispondere alle aggressioni di questi barbari. Combatte molte guerre, e lo fa da eroe cattolico che ha lo spirito della fede e si fida più dell’aiuto soprannaturale che delle sue forze naturali.

È a Dio che chiede di vincere le sue battaglie. E Dio mostra a sant’Enrico quanto gradisca le sue preghiere intervenendo in modo miracoloso in almeno un’occasione. Quando i due eserciti si trovano faccia a faccia, i nemici fuggono terrorizzati apparentemente senza una ragione. In effetti, per terrorizzare i nemici del santo, Dio ha mostrato loro un angelo alla guida di una schiera di martiri. Dio apprezza tanto le preghiere dei combattenti che in quest’occasione concede loro la vittoria senza che neppure combattano. E con questa vittoria le forze pagane dell’Oriente devono indietreggiare e il paganesimo perde la sua forza di espansione.


Ma un pericolo minaccia ancora la Cristianità: la presenza dei Longobardi nell’Italia Settentrionale. I Longobardi non sono pagani: sono però eretici, nemici della Chiesa Cattolica. Attaccano il Papato e l’Impero. Così sant’Enrico, con il sostegno di molti vescovi italiani, entra nel territorio dei Longobardi, li sconfigge e scende a Roma, dove rende omaggio a Papa Benedetto VIII (?-1024, Papa dal 1012 al 1024). È in quest’occasione che il Papa lo incorona imperatore del Sacro Romano Impero Germanico.

In una cerimonia realizzata con grande splendore, consegna a sant’Enrico un globo d’oro costellato di perle, che rappresenta il potere dell’imperatore sul mondo intero. Ma sant’Enrico non tiene per sé questo tesoro. Dimostra il suo amore per la Chiesa offrendo il prezioso dono all’abate sant’Odilone di Cluny (961-1049), che è il capo del maggiore ordine religioso europeo del tempo.


Dopo avere inflitto nuove sconfitte ai Longobardi che cercano di ribellarsi ritorna in Germania. Qui aiuta i vescovi a esercitare il loro ruolo e a mantenere la disciplina nella Chiesa. Il suo ruolo è anche decisivo nella conversione di un re pagano. Propone un’alleanza a Stefano, re d’Ungheria (969-1038), e gli offre in sposa sua sorella, la beata Gisella di Baviera (980-1065). Quest’ultima sposa Stefano e lo converte. La conversione è così reale e profonda che il re diventa un santo, santo Stefano, e converte tutta l’Ungheria alla fede cattolica. Dietro questa conversione c’è la sapiente manovra diplomatica di sant’Enrico. Con l’Ungheria si guadagna un alleato prezioso per controllare i popoli slavi che sono stati appena pacificati. Il suo senso diplomatico è dimostrato anche dall’episodio del fiume Mosa, del 1023. Qui incontra il re di Francia Roberto II il Pio (972-1031) per risolvere varie controversie. L’incontro pone un delicato problema di protocollo. Quello fra i due sovrani che attraverserà il fiume dovrà rendere omaggio all’altro. I consiglieri suggeriscono che l’incontro avvenga su una barca al centro del fiume. Ma Enrico non dà retta ai consiglieri, attraversa il fiume e rende omaggio al re di Francia. L’imperatore è superiore al re, ma Enrico rende omaggio a un sovrano che gli è inferiore per rango per umiltà, per mantenere relazioni cordiali e per risolvere i delicati problemi dell’Europa del tempo.

Dopo tanti servizi resi alla Chiesa e alla Cristianità, sant’Enrico muore nel 1024 nella pace di Dio come grande santo, guerriero, diplomatico e uomo politico. Questa è la gloriosa storia di sant’Enrico II imperatore. Preghiamolo perché ci aiuti a gettare le fondamenta per quella nuova Cristianità che sarà il Regno di Maria.

(Plinio Corrêa de Oliveira)


Appendice

Il Medioevo: periodo “buio” o fucina di santi?

Sant’Enrico II è patrono delle teste coronate. Nato nel 973 vicino a Bamberga, in Baviera, crebbe nel Medioevo, tempo in cui “la filosofia del Vangelo governava gli Stati” (Leone XIII, Enciclica ‘Immortale Dei’).

Il fratello Bruno divenne vescovo di Augsburg (Augusta), una sorella si fece monaca e l'altra sposò un futuro santo, il re d'Ungheria Stefano.

Sant’Enrico venne educato prima dai canonici di Hildesheim e, in seguito, dal vescovo di Regensburg (Ratisbona), san Wolfgang. Si preparò così all'esercizio del potere, cosa che avvenne dapprima quando divenne Duca di Baviera, e poi nel 1014 quando "già re di Germania e d'Italia" Papa Benedetto VIII, lo incoronò a guida del Sacro Romano Impero.

Sant’Enrico si adoperò insieme alla moglie santa Cunegonda per rinnovare la vita della Chiesa e propagare la fede di Cristo in tutta l’Europa; mosso da zelo missionario, istituì molte sedi episcopali e fondò monasteri.

Tra i consiglieri ebbe sant’Odilone, abate di Cluny, centro di riforma della Chiesa. Enrico morì a Grona vicino a Göttingen in Germania nel 1024. Fu lui a sollecitare l'introduzione del Credo nella Messa domenicale.

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