martedì 15 luglio 2014

La nobiltà non si contrappone alla santità


Luigi IX di Francia 
Re, crociato e santo

L’odierna incomprensione nei confronti della nobiltà e delle élites tradizionali analoghe risulta, in gran parte, dalla propaganda abile, seppure priva di obiettività, fatta contro di esse dalla Rivoluzione francese.

Questa propaganda - alimentata continuamente durante i secoli XIX e XX dalle correnti ideologiche e politiche succedanee di quella Rivoluzione - è stata combattuta, con crescente efficacia, dalla storiografia seria. Vi sono però settori dell’opinione in cui essa perdura ostinatamente. È bene, quindi, dire qualcosa al riguardo.


Secondo i rivoluzionari del 1789, la nobiltà era formata sostanzialmente da gaudenti che, detenendo insigni privilegi onorifici ed economici che indoravano la vita grazie ai meriti e alle ricompense ottenute da lontani antenati, si potevano permettere il lusso di vivere solo godendo le delizie dell’esistenza terrena e, peggio ancora, specialmente quelle dell’ozio e della voluttà. Questa classe di gaudenti era inoltre di grave peso per la Nazione, a danno delle classi povere, queste si laboriose, morigerate e utili al bene comune.

Tutto questo ha prodotto l’idea che la vita tipica di un nobile, col risalto e la agiatezza che normalmente deve comportare, inviti per se stessa ad un atteggiamento di rilassatezza morale, molto diversa dalla ascesi richiesta dai principi cristiani.

Pur senza negare che possa contenere qualcosa di vero, poiché nella nobiltà e nelle élites analoghe della fine del secolo XVIII già si facevano notare i segni precursori della terribile crisi morale del nostro tempo, è bene sottolineare che questa versione, dannosa al buon nome della classe nobiliare, è molto più falsa che vera Lo prova fra l’altro la stessa storia della Chiesa, con il gran numero di nobili che Essa ha elevato all’onore degli altari, attestandone la pratica in grado eroico dei Comandamenti e dei consigli evangelici.

San Pier Giuliano Eymard ha così potuto dire che “gli annali della Chiesa dimostrano che un gran numero di santi, e fra i più illustri, portavano un blasone, possedevano un nome, una famiglia illustre: alcuni erano perfino di sangue reale”.

Molti fra questi santi abbandonarono il mondo per praticare più sicuramente le virtù eroiche. Altri invece, come i Re San Luigi di Francia e San Fernando di Castiglia, conservarono il fasto della loro posizione e praticarono le virtù eroiche vivendo completamente nella elevatissima condizione nobiliare che era loro propria.

Per smentire più completamente queste versioni denigratorie della nobiltà, e dei costumi e degli stili di vita che la sua condizione comporta, bisognerebbe indagare quale sia la percentuale dei nobili fra quelli onorati come santi dalla Santa Chiesa. (...)

Merita particolare attenzione uno studio fatto da André Vauchez, professore all’Università di Rouen, intitolato La Sainteté en Occident aux derniers siècles du Moyen Age. Esso presenta una statistica di tutti i processi ordinati dai Papi tra il 1198 e il 1431. Ecco la statistica fornita da Vauchez:

Processi di canonizzazione: 71
Nobili: 62%
Classe media: 15,5% 
Popolo: 8,4%
Origene sociale ignota: 14,1% (...)

Questi dati, per quanto molto interessanti, non potevano soddisfare il desiderio di un quadro più completo, poiché si riferivano a un numero molto ridotto di persone e ad uno spazio di tempo relativamente breve. Si rendeva necessaria una ricerca che comprendesse un numero più vasto di persone e un tempo più ampio. (...)

Abbiamo scelto quindi l’Index ac Status Causarum, una pubblicazione ufficiale della Congregazione delle Cause dei Santi, erede della antica Sacra Congregazione dei Riti. Si tratta di una “edizione straordinaria e amplissima fatta per commemorare il IV Centenario della Congregazione e che include tutte le cause ad essa pervenute dal 1588 fino al 1988, e anche quelle più antiche conservate nell’Archivio Segreto Vaticano”:

Santi nobili: 21,7%
Beati nobili: 12% 
Conferma di culto di persone nobili: 31,8% (...)

Se prendiamo in considerazione che la classe nobile rappresenta non più del 1,5% della popolazione totale, i dati sopra riportati dimostrano che, in ciascuna delle categorie, la percentuale dei nobili è notevolmente maggiore di quella dell’insieme della popolazione di un Paese. Questo dimostra l’esatto contrario delle calunnie rivoluzionarie sulla pretesa incompatibilità tra, da un lato, l’appartenenza e permanenza nel ceto nobiliare e, dall’altro, la pratica della virtù.

Plinio Corrêa de Oliveira

(Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII, Marzorati, Milano 1993, pp. 255-259)






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