sabato 6 giugno 2015

Esclusivismo ingannevole: misericordia o giustizia?...

Incentivate dal tam-tam mediatico, certe parole vanno di moda.
Tutti le usano. Il loro preciso significato, però, è spesso
sfuggente, ambiguo, flessibile…
Ne sono esempi “misericordia” e “persone ferite”,
usate a proposito dell’ultimo Sinodo dei Vescovi sulla famiglia.
Perché questa repentina popolarità?


Una delle parole più usate a proposito dell’ultimo Sinodo dei Vescovi sulla famiglia, tenutosi lo scorso ottobre in Vaticano, sia nei Documenti sia nelle discussioni, è “misericordia”. Si direbbe, infatti, che tutto il Sinodo si sia svolto all’insegna della misericordia, quale criterio cardine per la pastorale della Chiesa nei decenni a venire. Ma, soprattutto, i mass media hanno cercato di creare l’impressione di una ventura “Chiesa della misericordia” in opposizione alla Chiesa finora esistente. Nel documento conclusivo, «Relatio Synodi», la parola è usata ben sedici volte. Il cardinale Walter Kasper, relatore del Sinodo, aveva già pubblicato un libro in merito: «Misericordia. Concetto fondamentale del Vangelo. Chiave della vita cristiana», che ha molto ispirato il dibattito.
La versione che si cerca di trasmettere è che la pastorale della Chiesa non può essere fondata appena sulla dottrina, cioè sulla giusta applicazione dei principi della Morale e del Magistero, ma anche sulla misericordia, che, andando oltre la dottrina, valuta con occhi benevoli certe situazioni concrete. Fin qui niente di nuovo. Nella fattispecie, però, alcuni vorrebbero applicare la misericordia alle persone in situazione coniugale irregolare: divorziati risposati, conviventi, coppie di fatto (anche omosessuali), senza far loro rinunciare alla propria condizione di peccato. Tutto ciò costituirebbe già una novità pericolosa, in quanto escluderebbe il necessario pentimento e il proposito di emendamento.
Si è giunti, in alcuni casi, a proporre, addirittura, di riammettere tali persone alla Comunione sacramentale, come pure di aprire alle coppie formate da persone dello stesso sesso. Nelle discussioni, si è arrivato a prospettare sostanziali cambiamenti nel Magistero e nella disciplina della Chiesa in materia morale, pur di venir incontro, in modo misericordioso, a queste persone.
Nel «Documento Preparatorio» al Sinodo, posto il quesito “Come viene annunciata a separati e divorziati risposati la misericordia di Dio?”, è stata messa in evidenza “la vasta accoglienza che sta avendo ai nostri giorni l’insegnamento sulla misericordia divina e sulla tenerezza nei confronti delle persone ferite, nelle periferie geografiche ed esistenziali”.
 Le “parole talismano”
“Misericordia”, “tenerezza”, “persone ferite”… parole ad altissimo contenuto sentimentale, il cui significato, di per sé legittimo, diventa sempre più sfuggente man mano che sono manipolate con sfumature diverse da una certa propaganda. Queste sono le parole che oggi vanno di moda, e che confermano che ci troviamo ad avere a che fare con una collaudata strategia rivoluzionaria.
Infatti, siamo di fronte a ciò che Plinio Corrêa de Oliveira definiva “parole talismano”: vocaboli con forte contenuto sentimentale, che suscitano una costellazione di impressioni ed emozioni, dotate di grandi qualità propagandistiche, della cui elasticità si abusa per scopi ideologici, suscettibili di essere fortemente radicalizzati al fine di realizzare ciò che il pensatore cattolico indicava come “trasbordo ideologico inavvertito”, cioè un cambiamento nella mentalità del “paziente” senza che questi se ne accorga (1).
Le “parole talismano” sono simili a recipienti nei quali si possono versare diversi contenuti. Ammettendo un significato legittimo, perfino nobile, le “parole talismano” sono manipolate tendenziosamente dalla propaganda, assumendo quindi significati sempre più vicini alle posizioni ideologiche verso le quali si vuole trasbordare l’opinione pubblica. In questo modo, le “parole talismano” diventano strumenti della rivoluzione. Si tratta di una tecnica di persuasione ideologica implicita.
Facciamo un esempio concreto: “persone ferite”. Si tratta, in questo caso, di persone che vivono in stato di peccato mortale pubblico: divorziati risposati, conviventi, coppie omosessuali. Il termine appropriato sarebbe quindi “peccatori pubblici”. Questo, però, dicono i paladini della misericordia, non fa altro che aumentare il loro dolore, cosa contraria all’amore. Chiamandole invece “persone ferite” si evita di arrecare loro ulteriore danno, ripudiandole con un giudizio morale negativo, e si esalta invece un aspetto, vero ma secondario, della loro personale condizione, usando nei loro confronti un termine atto a suscitare compassione: sono “persone ferite”…
 "...va' e d'ora in poi non peccare più". (Gv, 8, 1-11)
Così come il dolore fisico è una difesa dell’organismo per richiamare l’attenzione su una situazione patologica, che altrimenti andrebbe trascurata, il dolore spirituale è una difesa della coscienza a una situazione di peccato. È dal dolore che nasce il pentimento. Dominata da un sentimentalismo morboso, che varca i confini della ragionevolezza, una certa mentalità pensa invece solo a sollevare il dolore, non affrontando alla radice il problema, bensì offrendo palliativi.
La reazione normale di fronte a una “persona ferita” è, ovviamente, venirle incontro per sollevarla da ogni sofferenza. Per chi possiede questa mentalità, mentre ogni giudizio teologico e morale è sconsigliato, anzi evitato, al fine di non aggravare ulteriormente le sofferenze di tali persone, il sentimento di “tenerezza” e di “misericordia” nei loro confronti va dilatato fino a diventare il criterio dominante nell’analizzare la situazione e, quindi, anche nel tracciare una condotta pastorale.
Nell’auge della manipolazione del sentimento di misericordia, a qualcuno può venire in mente di “far evolvere” il Magistero della Chiesa e la sua disciplina pur di non “ferire” più queste persone.
La vera misericordia
Teologicamente, la misericordia è una virtù che incide sulla nostra capacità di avere compassione, cioè di “patire con” il nostro prossimo, venendo incontro a eventuali situazioni di sofferenza al fine di sollevarlo dalle sue miserie. L’oggetto della misericordia è la sofferenza che si discerne nel prossimo, soprattutto quando essa è involontaria. La misericordia è intimamente collegata alla giustizia perché, al pari di essa, controlla i rapporti fra le persone.
 "Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio..." (Gv. 2, 15)
Secondo il sacerdote spagnolo Juan José Pérez-Soba, del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, “quello che differenzia la misericordia dalla sola compassione, è che lo scopo della misericordia è di ‘rimuovere l’altrui miseria’, in altri termini, la misericordia è attiva contro il male che l’altro subisce. Non è misericordia la falsa consolazione che porta a dire che si tratta di un male minore, se non si libera da esso colui che lo subisce. La misericordia nasce dall’amore per la persona al fine di curarla dal male dell’infedeltà che l’affligge e che la impedisce di vivere nell’Alleanza con Dio” (2).
Tale misericordia va necessariamente collegata alla giustizia e alla verità: “La misericordia in quanto virtù non è estranea alla giustizia. (…) Non possiamo lasciare spazio ad una misericordia ingiusta poiché sarebbe una profonda falsificazione della rivelazione divina. (…) La verità è il nesso che unisce la misericordia e la giustizia. (…) Un’azione ingiusta, quindi, non è mai misericordiosa”.
Il trasbordo ideologico inavvertito
Molto diversa è la “misericordia” talismano, strumento del trasbordo ideologico inavvertito. Cercheremo di descrivere, passo per passo, tale trasbordo, seguendo lo schema di Plinio Corrêa de Oliveira.
Prima fase: ipertrofia della compassione. La manipolazione inizia con l’ipertrofia della compassione. Insistiamo sull’importanza del fattore emotivo e sentimentale. Si nota una forte fermentazione passionale irenistica [pacifista], che consiste in un vigoroso desiderio di concordia e di bene universale, di pace in tutti i campi delle relazioni umane, senza esclusione di nessuno, poiché ogni esclusione fa soffrire. Tale desiderio sarà soddisfatto solo quando non ci sarà più sofferenza nel mondo.
Si ammette ancora una verità oggettiva, cioè principi morali che sono ancora affermati e, talvolta, anche difesi. Se dal punto di vista dottrinale, si affermano ancora i principi, dal punto di vista emotivo si è introdotto un fattore passionale che, esacerbato, porterà a relativizzare la dottrina. La parola “misericordia” subisce allora la sua prima trasformazione: slegandosi gradualmente dalla verità e dalla giustizia, assume una vita propria.
Seconda fase: la compassione invade la discussione a scapito dei principi. A partire da un dato momento, la compassione irenistica comincia a prendere il primo posto nella discussione, a scapito dello zelo per la difesa dei principi e del Magistero. Ne deriva un mutamento nel modo di portare avanti la discussione: non più per affermare la verità e la giustizia, approfondendo il Magistero, ma per risolvere ad ogni costo le situazioni di sofferenza. Nel caso in questione, dicono, queste persone si sono allontanate dalla Chiesa solo perché essa le ha finora trattate in modo duro. Basterebbe usare tenerezza e misericordia che esse tornerebbero alla Casa paterna.
La parola talismano “misericordia” acquisisce un significato nuovo e più ampio: non si tratta solo di venir incontro alle “persone ferite”, ma di farlo a qualsiasi costo. Qualsiasi indugio sarà contrario alla carità. Si comincia a perdere di vista il fine della pastorale, cioè il bene spirituale delle persone, e si cerca invece, sempre di più, di lenire le loro sofferenze. Il criterio della pastorale si sposta dalla Verità insegnata dal Magistero, alla percezione che queste persone hanno della propria situazione.
Terza fase: la compassione sfocia nel relativismo. Fin qui, sotto la pressione emotiva, l’obiettivo della discussione diventa sempre più la compassione a qualsiasi costo e sempre meno la Verità. Nella terza fase, il desiderio sfrenato di compassione scavalca le esigenze del Magistero, arrivando a pensare che l’unica verità proponibile sia quella della pratica pastorale concreta, adattata secondo i casi particolari, e non fondata su principi assoluti. In altre parole, alla fine del processo si può arrivare al relativismo.
A questo punto, la “misericordia” appare come la chiave di volta della civiltà dell’amore, il fondamento dell’era della buona volontà, in cui ogni discriminazione sarà stata finalmente superata. Una civiltà guidata non dalla ragione quanto dal sentimento, non dal Logos quanto dal Eros.
È evidente che, descrivendo in questo modo il processo, non intendiamo affermare che esso si svolgerà, necessariamente e in tutti i casi, fino alla fine. Una certa propaganda al servizio del progressismo ci proverà senz’altro. Spetta ai cattolici fedeli “esorcizzare” la magia della parola talismano, riportandola ai suoi contenuti teologici tradizionali.
Julio Loredo
(Rivista Tradizione, Famiglia, Proprietà - Marzo 2015)
(Titolo originale "Le 'parole talismano' al servizio della propaganda")
(I grassetti sono nostri)

Note
1. Plinio Corrêa de Oliveira, «Trasbordo ideologico inavvertito e Dialogo», Editoriale Il Giglio, Napoli 2012.
2. Juan José Pérez Soba, «La misericordia, verità pastorale», Cantagalli, Siena 2014.

Nessun commento:

Posta un commento