giovedì 11 agosto 2016

La morte di Stalin. La vittoria di Dio.


C’è un testo narrativo della morte di Stalin, redatto da sua figlia, che è molto ben fatto.

Figuratevi la vastità del Cremlino, una misteriosa fortezza–palazzo, interamente circondata da mura. Al suo interno si svolge ancora un altro dramma: la morte del dittatore Stalin, un uomo dissoluto, che sta spirando.
È l’inevitabile malattia, o l'avvelenamento, che sta raggiungendo un determinato parossismo e che produce lo strappo, la dilacerazione: l’anima si sta separando dal corpo. Stalin si sente impotente, ma il suo vigoroso organismo lotta contro la morte.
Eppure, malgrado questa reazione - una specie di furia selvaggia e di forza biologica e psicologica -, la morte và prostrando il dittatore. Egli viene lacerato e reagisce con una sempre maggiore impetuosità e una forza di resistenza, man mano che nota i colpi della morte che gli si abbattono addosso.


Si constata però che Stalin muore lontano dalla grazia di Dio. Non vi è nulla che esprima l’idea di religione. La sua vita fu quella di un ateo e difensore dell’ateismo; di un uomo che, anche se occultamente credesse in Dio, in tal modo offese il Creatore, che è da presumersi che sia caduto nel peccato di disperazione, o nel peccato di negazione dell’esistenza di Dio.
Quindi, muore con odio, e disperato. Il suo reagire è vano, l’aria viene a mancargli, la sua natura è minata da tutte le parti.


Ad un certo momento, il dittatore si rende conto della situazione in cui si trova. Lui, che nella sua vita non aveva fatto altro che governare col terrore, spinto dalla forza dell’odio, apre gli occhi e – forse senza rendersene conto di ciò che stava accadendo, considerandosi avvelenato o vittima di una cospirazione – fissa tutti i presenti con uno sguardo terribile; e, sentendo in modo confuso che sta per essere sconfitto, cerca ancora di reagire.
Allora alza un braccio in un gesto di minaccia – l’unica cosa che sapeva fare. Poco dopo, Dio chiama la sua anima per il giudizio. Il braccio cade, Stalin non è altro che un cadavere.

L’uomo che trascorse tutta la vita odiando e che aveva governato con brutalità, si piega, si spacca, crolla. E subentra la placidità del cadavere.

Per chi sa interpretare queste scene con gli occhi della fede, riscontra una sola cosa come epilogo: la vittoria di Dio!

Plinio Corrêa de Oliveira (13 Gennaio 1975) 

(Pubblicato su "Catolicismo", Luglio 2016)





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